Nel
corso di una conferenza stampa svoltasi presso la sede del Partito
Radicale, esponenti del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e
Transparito, Nessuno tocchi Caino e Non c’è Pace senza Giustizia hanno
sostenuto l’appello del Consiglio Nazionale della resistenza iraniana
per la liberazione delle 7 persone, di cui 6 donne, sequestrate dalle
forze irachene il 1° settembre durante l’attacco armato a Camp Ashraf
nel corso del quale sono state sommariamente giustiziate 52 persone con
un colpo alla nuca.
Le
7 persone, secondo recenti notizie, si trovano nel carcere al-Huot
nella zona aeroportuale di Baghdad e rischiano seriamente di essere
estradate in Iran
Decine di appartenenti alla resistenza iraniana, in Iraq come a Ginevra, Londra, Ottawa, Berlino e Melbourne hanno avviato una iniziativa nonviolenta di sciopero della fame che dura dal 1° settembre 2013.
Nel corso della conferenza stampa, Faride Karimi, responsabile diritti umani per il Consiglio resistenza iraniana, si è rivolta al Ministro degli Esteri Emma Bonino, affinchè si attivi per la liberazione dei 7 ostaggi.
Hassan
Rouhani il nuovo presidente dell’ Iran non esita, senza timore e
remore chiama direttamente nel suo governo, elementi legati alla
repressione interna e al terrorismo internazionale.
Maryam
Rajavi, presidente del consiglio della resistenza, aveva ragione
paragonando l’elezione in Iran come la sabbia mobile che ingoierà
il regime totalitaria di Tehran e che andrà verso la massima
espansione del terrore nel mondo. La conferma arriva immediata, basta
leggere alcuni nomi di ministri per confermare una sensazione:
Mostafa
Pour-Mohammadi,
Ministro della Giustizia, è uno degli alti funzionari responsabili
dell’eccidio di 30.000 prigionieri politici nel 1988 e di numerosi
attentati nel mondo.
Altri membri del nuovo governo sono alti funzionari del regime stesso
che, negli ultimi tre decenni, sono stati ampiamente coinvolti in
guerre, repressioni, esportazione del terrorismo e del
fondamentalismo.
Come
ha sottolineato Rajavi, proprio il giorno dopo le elezioni, nessun
cambiamento si può immaginare senza libertà per i prigionieri
politici, libertà di parola, libertà di associazione politica,
cessazione dell’aggressiva ingerenza in Siria e in Iraq e
interruzione del progetto per la bomba atomica.
Sessanta
giorni dopo le elezioni, Rouhani ha ben dimostrato, in varie
occasioni, che non vuole né può portare alcun cambiamento riguardo
alle suddette questioni. Rouhani ha detto al primo ministro siriano,
arrivato a Tehran per partecipare alla sua cerimonia di insediamento,
che il regime dei mullah non cesserà di appoggiare il governo di
Damasco
nella
lotta contro
il popolo Siriano.
Curriculum
politico di alcuni
ministri:
-Mullah
Pour-Mohammadi era un importante membro del trio “Commissione
della Morte” che ha ricoperto il ruolo più importante nell’eccidio
di 30.000 prigionieri politici nel 1988. L’orribile massacro di 100
studenti tra i 16 e i 18 anni, e l’espulsione degli insegnanti di
Bandar-Abbas.
Pour-Mohammadi
è stato anche coinvolto negli “omicidi a catena”. Non ha
mostrato pietà nemmeno verso i suoi parenti, infatti è stato
coinvolto nel brutale omicidio, con il corpo dato alle fiamme, del
cugino di sua moglie Ashraf al-Sadat Borghai .
-
Mullah Seyed Mahmoud Alavi, Ministro dell’Intelligence: E’ stato
incaricato del Dipartimento per la Supervisione ed Ispezione e del
Dipartimento per le Pubbliche Relazioni e la Propaganda all’interno
dell’organo repressivo e di spionaggio noto come “Fede-Politica”
del Ministero della Difesa, ricoprendo un ruolo importante nella
repressione ed uccisione del personale militare che era contro il
regime.
-
Hamid Chitchian, Ministro dell’Energia: Comandante del Dipartimento
Intelligence di Tabriz è stato un tassello chiave negli organi
repressivi.
-
Abbas Akhoundi, Ministro per gli Alloggi: E’ stato uno dei primi
membri del Consiglio Centrale della Jihad per la
Ricostruzione, responsabile di aver fornito la logistica per la
guerra Iran-Iraq.
Dopo
le elezioni tra 19 giugno al 10 agosto, in Iran, sono state impiccate
102 persone!
La sharia
iraniana non consente la conversione dall’islam: la punizione può essere
addirittura la pena capitale. Mariam Naqqash, una delle principali
organizzatrici di cerimonie religiose cristiane a Teheran, è stata
condannata a 4 anni di carcere. È stata condannata a 4 anni di
carcere Mariam Naqqash, iraniana convertita al cristianesimo. Lo
riferisce il sito d’informazione Iran press news, spiegando che Naqqash è
stata riconosciuta colpevole dal Tribunale della Rivoluzione di Teheran
di “attentato alla sicurezza nazionale, avendo fatto propaganda
religiosa nel paese”. La donna è nota per essere tra le principali
organizzatrici delle cerimonie religiose cristiane a Teheran. Accusata,
inoltre, di spionaggio a favore di Gran Bretagna e Israele, è stata
rinchiusa nel carcere di Evin, a Teheran.
Secondo i siti
d’informazione attivi nell’ambito dei diritti umani, sono diverse le
chiese clandestine fondate dai neo-cristiani iraniani a Teheran e nelle
città vicine alla capitale quali Shahriar, Fardis e Karaj. Negli
ultimi anni sono aumentate in modo considerevole le conversioni,
soprattutto dei giovani, dall’Islam alle altre religioni, in particolare
il cristianesimo, lo zoroastrismo e la fede bahai.
Stando ad alcuni siti d’opposizione, negli
ultimi due anni oltre 300 iraniani convertiti al cristianesimo
sarebbero stati arrestati su ordine dell’autorità giudiziaria iraniana.
La sharia in vigore in Iran non consente la conversione dall’islam ad
altre religioni. L’abiura dell’islam è punibile anche con la pena
capitale. Ecco perchè molte conversioni in Iran avvengono in segreto.
Ministro Bonino Non
posso pensare che una mente proiettata nell' UMANITARIO quale la sua ,
possa credere alle ingannevoli dichiarazioni del Presidente Iraniano
Rohuani . Farsi portavoce per un dialogo con l'Occidente !
Quale dialogo si può intrattenere con chi fa un uso sistematico di mezzi
quali esecuzioni capitali e torture , nei confronti dei propri
cittadini , quando osano esprimere dubbi , neanche dissenso . Come può pensare dì avviare un dialogo con chi sta riportando la donna nel mondo dell' invisibile !
Ministro Bonino come può avviare un dialogo con chi , nel diniego
assoluto dei diritti umani si era posto quale Presidente Moderato Un
coraggioso NO al modello Komheinista!
Viene presentato un video e una foto del massacro di domenica 1 settembre compiuto dalle forze di sicurezza irachene contro i residenti iraniani del Campo Ashraf, nel quale sono stati uccisi 52 membri della resistenza iraniana e altri 7 sono stati presi in ostaggio e tenuti in luogo segreto. Le immagini mostrano uomini e donne prima ferite e poi "giustiziate" con un colpo alla testa, in alcuni casi con le mani ancora legate
Il massacro brutale dei residenti di Ashraf del 1 settembre 2013, che
ha lasciato sul campo 52 martiri e 7 ostaggi, è stato perpetrato dalle
forze irachene su ordine di Khamenei e Maliki; si è trattato di un
grande crimine contro l’umanità e non dovrebbe passare sotto silenzio.
Khamenei, alle prese con problemi interni e internazionali, aveva
un’assoluta necessità di questo eccidio, che è un’altra faccia
dell’attacco chimico alla periferia di Damasco e della carneficina di
centinaia di civili, bambini compresi
.
Noi, firmatari di questa dichiarazione, condanniamo l’apatia e il
silenzio delle organizzazioni internazionali nei confronti di questi
crimini orrendi dei mullah che governano l’Iran e del loro governo
fantoccio in Iraq, e chiediamo agli Iraniani nel mondo e alle persone
responsabili e rette delle altre nazioni di sostenere e difendere i
residenti di Camp Liberty e Camp Ashraf. Affianco agli Iraniani,
sollecitiamo l’Unione Europea, il governo degli Stati Uniti e le Nazioni
Unite a richiedere le seguenti misure
:
Primo: Impegnarsi per il rilascio immediato dei 7 ostaggi dell’attacco
.
Secondo: Mandare via le forze irachene da da Camp Ashraf e Liberty e
sostituirle con i Caschi blu delle Nazioni Unite, per difenderli fino
alla conclusione del processo di trasferimento dei residenti dei campi
verso l’Europa o gli Stati Uniti
.
Terzo: Istituzione di un comitato internazionale di indagini
imparziali e deferimento dei fatti del 1° settembre al Consiglio di
sicurezza perché venga fatta giustizia e i responsabili siano puniti.
Indirizzo E-mail per firmare in sostegno di questa dichiarazione:
A
guidare i circa 4mila pasdaran iraniani che al momento sono in Siria
impegnati nel sostegno all’Esercito di Bashar al-Assad, è il generale
Mohammad Reza Zahedi: l’ufficiale era uno dei comandanti dell’Esercito
della Repubblica islamica ai tempi della guerra Iran – Iraq, negli Anni
’80, ed in seguito, dal 1992 al 1996 e dal 1998 fino al 2002 è stato a
capo della Brigata al-Quds in Libano ed in Siria, dove era conosciuto
con il nome di Mohammad Reza Mahdavi; sempre in quel periodo è stato
rappresentante di Khamenei in Libano e secondo segretario presso
l’ambasciata iraniana a Beirut.
Dal 2006 al 2008 è stato comandante dell’Esercito dei pasdaran
(Guardiani della Rivoluzione), oltre che responsabile della Base
Sarallah, che garantisce la sicurezza di Teheran.
Il suo nome appare nella lista delle persone e delle aziende con cui non
è possibile intrattenere rapporti, frutto della Risoluzione 1747 del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
Ultimo aggiornamento da Camp Ashraf Iraq (10:00 Baghdad ora locale)
Il bilancio delle vittime del raid delle forze irachene al comando di
Nour al-Maliki contro i residenti iraniani di Camp Ashraf in Iraq è
salito a 44.
Il raid è iniziato a mezzanotte ed è ancora in corso.
Il campo è stato isolato e le forze irachene, che si avvalgono anche
di unità di combattimento speciali (SWAT) fanno anche uso di mortai: una
fitta coltre di fumo si è levata dal campo.
Molti feriti versano in condizioni critiche.
Altri residenti sono stati presi in ostaggio.
I martiri identificati sono: Zohreh Ghaemi, vice segretario generale
del PMOI/MEK; Giti Givehchian, membro anziano del Consiglio del PMOI
Mitra Bagherzadeh Gila Toloue, Fatemeh Kamyab , Maryam Hosseini, Majid
Shivyari, Azim Naroui, Rahman Manani, Hassan Jabari, Mehdi Fatollah
Nejad, Alireza Khooshnevis, Mohammad Reza Safavi, Saeed Akhavan, Hossein
Rassouli, Nasser Habashi, Ali Asghar Mechanic, Ali Mahmoudi, Ibrahim
Assadi.
La resistenza iraniana chiede un’azione urgente e si appella
all’UNAMI e all’ambasciata statunitense in Iraq perché inviino
immediatamente una delegazione nel campo per fermare il massacro dei
residenti.
CNRI-
Secondo quanto rivelato dai siti web del regime, il nuovo Ministro
della Difesa del Regime Iraniano nominato da Hassan Rouhani è uno dei
fondatori del gruppo terrorista libanese.Gli
ultimi dettagli del passato torbido di Hossein Dehghan vengono dopo i
rapporti che lo vedevano anche come uno dei primi studenti terroristi
dell’ambasciata di Teheran nel 1979 che avevano preso in ostaggio 53
diplomatici americani.
Ora le notizie dei nuovi siti
del regime dicono come Dehghan sia stato un membro fondatore delle
Guardie Rivoluzionarie e un comandante del IRGC a Teheran fino al 1982
quando giocò un ruolo attivo nella repressione dell’opposizione.
Fu poi nominato comandante della forze del IRGC in Siria prima della
formazione della guarnigione degli agenti libanesi vicino al confine col
Libano.
In seguito entrò in Libano per stabilizzare la guarnigione di
Abol-Fazl Abbas nella regione di Nabi-Shit nella valle di Bakon ed
organizzare le forze dello Hezbollah.
Secondo i siti web del regime, Dehghan aveva chiuso qualsiasi tipo di
relazione con i leader dello Hezbollah incluso Seyed Abbas Moussavi, il
primo e più importante Hezbollah ucciso nel 1992 e Seyed Hassan
Nasrallah, l’attuale leader del gruppo.
Dehghan, nato a Shahreza nel 1957, nel centro dell’Iran, ha mantenuto
il suo legame con lo Hezbollah ed ha anche rilasciato sue foto in
Libano lungo il Moussavi.
Dettagli del ruolo di Dehghan nella crisi degli ostaggi statunitensi
sono stati riferiti a vari siti web del regime clericale incluso
shakhsiatnegar.com ed il sito degli Studenti Mussulmani che seguono la
Linea dell’Imam. Comunque questa informazione è stata omessa dalla
biografia ufficiale fornita alla stampa che seguiva la sua nomina.
L’Iran ha lanciato il proprio servizio di posta elettronica interno gestito dallo Stato. Lo ha annunciato il Ministro dell’Informazione e della Comunicazione Tecnologica iraniano, Mohammad Hasan Nami, alla tv di Stato iraniana.
“D’ora in poi – ha spiegato il ministro – a ogni iraniano verrà assegnato un indirizzo mail individuale che dovrà essere impiegato per la comunicazione elettronica con le agenzie governative”. Una decisione presa per migliorare le interazioni e la comunicazione tra il governo il popolo. Almeno è stata questa la motivazione ufficiale, ma non è chiaro se in realtà si tratta di un modo per rafforzare i controlli sulla rete.
Al momento il Ministero non ha precisato se queste mail dovranno
essere usate obbligatoriamente o meno, e come l’introduzione di un nuovo
provider di posta elettronica influirà sulla privacy dei cittadini
iraniani. Intanto a ciascuno sarà assegnato un indirizzo mail con il dominio “mail.post.ir”, mentre in tutto il Paese sono già stati istituiti i primi data center, al fine di supportare il nuovo sistema.
L’Iran ha discusso per anni sulla creazione di un proprio servizio di
posta elettronica interna, con l’obiettivo di contrastare i provider
stranieri di posta elettronica come Gmail e Yahoo.
Le statistiche ufficiali mostrano che circa la metà degli iraniani
usufruisce della Rete, nonostante i continui tentativi di blocco e
filtraggio imposti dalle autorità. Nel 2012 gli utenti iraniani che
hanno utilizzato Internet sono stati 42 milioni, secondo l’ultimo
rapporto pubblicato da InternetWorldStats.com
Al momento, le dichiarazioni
rilasciate dal neo presidente eletto Hassan Rouhani qualche giorno fa,
sulla necessità di allentare il filtraggio della rete e i controlli
multimediali da parte delle autorità, non hanno avuto alcun effetto.
25persone sono state impiccate tra ieri e oggi in Iran, per diversi crimini.
I primi quattro prigionieri sono stati impiccati oggi nel carcere
Rajai Shahr di Karaj. Lo rende noto l’organizzazione Iran Human Rights,
secondo cui i quattro erano stati riconosciuti colpevoli di omicidio.
Tre di loro sono stati identificati come "Mohammad Jafari", "Ali
Yadegari" e "Karim Taraj".
Il 2 luglio, 21 prigionieri sono stati impiccati nel carcere Ghezel
Hesar di Karaj, hanno reso noto fonti vicine a Iran Human Rights (IHR).
Dei 21 impiccati, 17 erano detenuti nello stesso carcere di Ghezel
Hesar, mentre altri 4 erano stati trasferiti da altre prigioni.
In particolare, un giustiziato identificato come "Mohsen Jahanbakhsh" era stato trasferito dal carcere di Rajai Shahr.
Jahanbakhsh era nato nel 1977 ed era stato condannato dal giudice
Salavati, che lo aveva riconosciuto colpevole di Moharebeh (guerra
contro Dio) per partecipazione ad una rapina a mano armata.
La sua famiglia non è stata informata dell’esecuzione e non è stata quindi in grado di incontrarlo un’ultima volta.
Non sono note le identità degli altri impiccati, per la maggior
parte riconosciuti colpevoli di Moharebeh, “corruzione sulla Terra”e
reati legati alle droghe. (Fonti: Iran Human Rights, )
Il più grande raduno mondiale di iraniani in esilio, seicento dignitari politici tra cui Zapatero, Giuliani, Betancourt,
oltre a legislatori e giuristi che rappresentano un ampio spettro di
tendenze politiche provenienti da 47 paesi in tutto il mondo
.
Due giorni fa nei pressi di Parigi si è levata una voce contro le elezioni di Teheran:
“Elezioni una farsa di regime, il nuovo presidente illegittimo, l’unica
opzione è quella di rovesciare il regime e il movimento del supporto
Maryam Rajavi
”.
Dal meeting è emersa la consapevolezza che il nuovo presidente del
regime è un funzionario “della macchina del regime di guerra e della
repressione”, ma allo stesso tempo adesso occorre “attenzione verso gli
Stati Uniti e l’Onu per la sicurezza dell’opposizione iraniana
”.
Il raduno ha condannato con la massima fermezza il terzo attacco
missilistico contro profughi inermi residenti in un carcere
dell’entroterra. Un attacco che ha causato due morti e settanta feriti,
ma l’assalto sarebbe stato effettuato dal terrorista Qods e con il
sostegno del primo ministro iracheno Nouri al-Maliki
.
I relatori hanno invitato il governo degli Stati Uniti, le Nazioni
Unite, l’Unione europea e il Parlamento europeo a garantire i diritti
dei residenti indifesi di Ashraf e Liberty, e, in particolare, garantire
la loro sicurezza. Hanno sottolineato che l’unico modo per evitare il
ripetersi di questa tragedia è di tornare temporaneamente ad Ashraf dove
potrebbero essere gradualmente reinsediati in paesi terzi
. Resistenza
Ma il nodo è anche un altro: l’unico modo per liberare il Paese dal
regime che ha minacciato la pace e la sicurezza in tutto il mondo,
soprattutto in Medio Oriente, è un cambiamento netto per mano del popolo
iraniano e del loro movimento di resistenza organizzata. Per questo
hanno inneggiato all’apporto della signora Maryam Rajavi, Presidente
eletta della Resistenza Iraniana, per i suoi dieci punti programmatici
per l’instaurazione della democrazia e della libertà in Iran
.
Così dal meeting si è levata la richiesta che il movimento venga
ufficialmente riconosciuto. Un attacco è partito all’azione del
Segretario generale delle Nazioni Unite Rappresentante Speciale in Iraq,
Martin Kobler, che secondo il Meeting parigino avrebbe avallato le
azioni intraprese contro i profughi
L’editto di Rajavi
Maryam Rajavi, Presidente eletto del Consiglio
Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI), è stato il relatore
principale. E ha descritto le urne iraniane come una chiara
testimonianza della fase finale del regime, prima di essere rovesciato e
ha osservato: “Anche se Khamenei ha eliminato Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, che è stato determinante nel portarlo al potere, tra avallare Hassan Rowhani e le rivolte popolari ha scelto la prima
.
Diverse ore prima di annunciare il risultato delle elezioni, Khamenei
ha cercato di nascondere la sua sconfitta, attaccando Liberty e
uccidendone i combattenti nel tentativo di mettere in guardia il popolo
iraniano”. Accuse precise a cui ha fatto seguito la considerazione che
“il nuovo presidente del regime iraniano è un funzionario della macchina
del regime di guerra e repressione
”.
Da qui l’invito della signora Rajavi al nuovo presidente dei mullah
di acconsentire alle richieste immediate del popolo iraniano. Il
riferimento è alla libertà di espressione e dei diritti umani,al
rilascio dei prigionieri politici e al riconoscimento della libertà di
partiti politici. Ma anche alla condanna per le aggressioni in Siria e
in Iraq perché “se non si fermerà il programma di armi nucleari, non
cambierà nulla in Iran
”. Chi c’era: da Rudy Giuliani a Ingrid Betancourt
Al raduno francese sono intervenuti alte personalità politiche e istituzionali provenienti da tutto il mondo tra cui: Rudy Giuliani,
ex sindaco di New York; il generale James Jones, ex Consigliere della
Sicurezza Nazionale del presidente Obama; una delegazione del Congresso
degli Stati Uniti, Louis Freeh, ex direttore dell’FBI, Patrick Kennedy,
ex membro della Camera dei Rappresentanti, James Conway, comandante del
34 ° Corpo dei Marines; Porter Goss, ex direttore della CIA; il
Vicepresidente del Parlamento europeo Alejo Vidal-Quadras; Aude de
Thuin, Fondatore e Presidente del Forum delle donne per l’Economia e
società; David Amess, membro del Parlamento britannico; Horst Teltschik,
membro dell’International Advisory Board del Council on Foreign
Relations; Giulio Maria Terzi, ex Ministro degli Affari Esteri italiano, José Luis Rodríguez Zapatero, ex primo ministro della Spagna; Ingrid Betancourt,
ex candidata alla presidenza della Colombia; Russ Hiebert, Membro del
Parlamento canadese; il senatore ceco Yroumir Eschtetina, Membro del
Comitato per gli affari africani; Sid Ahmed Ghozali, ex Primo Ministro
d’Algeria; Najat Bubakr, Membro della Palestina Parlamento.
Secondo
Ali Olya, capo della magistratura di Hormozgan (Iran meridionale),
circa 200 condannati a morte sono in attesa di esecuzione.
Ali
Olya, parlando con i giornalisti, ha detto: “14 dei 297 condannati a
morte a Hormozgan sono stati messi a morte lo scorso anno (calendario
iraniano: 21 Marzo 2012- 20 marzo 2013.) e circa 200 condannati a morte
sono in attesa che la loro condanna sia eseguita”. “La maggior parte di
questi prigionieri sono condannati per droga o per omicidio”, ha
aggiunto.
Nessuna delle 14 esecuzioni è stata annunciata da fonti ufficiali.
Secondo il rapporto annuale sulla pena di morte in Iran di Iran Human Rights (IHR), ci sono state 286 esecuzioni non annunciate o eseguite in segreto nel 2012 in 15 diverse prigioni.
Tuttavia, le prigioni di Hormozgan non erano tra le carceri in cui sono
avvenute esecuzioni che IHR è riuscita a confermare. Ciò indica che le
esecuzioni che avvengono in segreto sono più diffuse ed i numeri sono
molto più alti rispetto ai dati forniti dalle organizzazioni per i
diritti umani
Calcio, politica e diritti: l’altra sfida di Rouhani. Ieri la nazionale di calcio iraniana si è aggiudicata la qualificazione al Mondiale brasiliano del 2014, vincendo 1 a 0 contro la Corea del Sud. Grande festa per le strade di Tehran.
Oggi alle 16 la nazionale di calcio sarà accolta allo Stadio Azadì
(che in persiano vuol dire Libertà) di Tehran, per festeggiare la
qualificazione alla Coppa del Mondo del 2014. Tuttavia, un comunicato
emesso dalla FEDERCALCIO iraniana e diffuso lunedì dall’agenzia stampa
Mehr, affiliata al Ministero dell’Intelligence e della Sicurezza del
regime, ha fatto sapere che le donne non saranno autorizzate a
partecipare ai festeggiamenti presso lo stadio Azadì. (Fonte NCRI – Iran)
Intanto parte la mobilitazione sul web per protestare contro la decisione delle autorità iraniane. Qui, qui e qui
i volantini di protesta che circolano sui social network, dove molti
invitano le donne a recarsi allo stadio nonostante il divieto.
Sul fronte dei diritti delle donne, durante la sua
campagna elettorale, il neo presidente eletto Rouhani ha dedicato ampio
spazio e attenzione alle questioni relative ai diritti delle donne,
promettendo di istituire un ministero per gli affari femminili e
garantire la parità di genere, anche in relazione alle opportunità di lavoro.
Amnesty International ieri ha rilasciato un comunicato stampa, invitando il neo presidente Hassan Rouhani a mantenere le promesse sul
al Segretario Generale delle Nazioni Unite, all'Alto
Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati e il Segretario di Stato
degli Stati Uniti per il ritorno immediato dei residenti di Campo
Liberty ad Ashraf CNRI .Campo Liberty, situato alla preferia di Baghdad è stato colpito con missili alle ore locale 13:15 con 6 morti, 27 feriti, di cui alcuni gravi
il mondo non deve permettere che i dissidenti iraniani siano ammassati
in un campo di prigionia chiamato Liberty, in quanto ciò sarebbe non
solo contro ogni legge internazionale, ma contro ogni legge morale.
Il
Consiglio dei guardiani, organo costituzionale iraniano non elettivo
composto da 12 giuristi religiosi incaricato di vagliare tutta la
legislazione per accertarne la compatibilità con la Costituzione e la
legge islamica, ha reinserito la pena della lapidazione correggendo una
bozza precedente del nuovo codice penale iraniano in cui la lapidazione,
come pena esplicita per il reato di adulterio, era stata omessa.
Il 27 aprile l’agenzia di stampa semi-ufficiale Mehr aveva
riferito che il Consiglio dei guardiani aveva terminato la revisione e
la correzione della bozza del nuovo codice penale e che la normativa
sarebbe presto entrata in vigore.
Il Consiglio dei guardiani aveva approvato una precedente versione
della bozza del nuovo codice, ma alla fine dello scorso anno aveva
deciso di apportarvi ulteriori modifiche prima dell’entrata in vigore.
La versione precedente
proponeva l’abolizione delle disposizioni che prevedono la lapidazione a
morte come pena per l’adulterio. Peraltro, quella versione avrebbe
ancora permesso ai giudici di far riferimento a fonti religiose – tra
cui la Sharia e le fatwa (editti religiosi) emesse dal clero sciita di
alto rango – che potevano contemplare la lapidazione degli adulteri.
La bozza modificata identifica invece esplicitamente, di nuovo, la
lapidazione come forma di punizione per le persone giudicate colpevoli
di adulterio o di rapporti sessuali al di fuori del matrimonio.
Il nuovo codice disciplina in modo articolato i casi in cui
un’adultera o un adultero possano essere lapidati, impiccati o frustati.
Ai sensi dell’articolo 225, se il tribunale e il capo della
magistratura stabiliscono che “non è possibile”, in un particolare caso,
applicare la lapidazione, la persona può essere messa a morte con un
altro metodo qualora le autorità abbiano provato il reato sulla base
delle dichiarazioni rese da testimoni oculari o della confessione
dell’imputato.
Il codice riveduto prevede anche che i tribunali che condannano gli
imputati per adulterio sulla base della “conoscenza del giudice” (una
dottrina notoriamente vaga e soggettiva che permette condanne in assenza
di qualsiasi prova concreta) possono imporre la pena di 100 frustate al
posto della lapidazione a morte. La pena per le persone giudicate
colpevoli di fornicazione o di rapporti sessuali al di fuori del
matrimonio, che coinvolgano una persona non sposata, è di 100 frustate.
In assenza di dati ufficiali, le organizzazioni per i diritti umani stimano
che siano almeno 10 le persone, uomini e donne, attualmente in prigione
e a rischio di esecuzione per lapidazione in base all’accusa di
adulterio. Almeno 70 persone sono state messe a morte con la lapidazione
in Iran dal 1980. L’ultimo caso noto si è verificato nel 2009.
A pochi giorni dalle elezioni presidenziali in Iran, in programma il prossimo 14 giugno, l’associazione Iran Human Rights Italia Onlus in collaborazione con la libreria Tra le righe organizza l’evento “Libertà, diritti e democrazia nella Repubblica Islamica dell’Iran.”
Nel corso della serata Cristina Annunziata, vicepresidente di IHR Italia, intervisterà Sahar Delijani, autrice del libro L’albero dei fiori viola,
suo primo romanzo, pubblicato in Italia da Rizzoli e uscito
contemporaneamente in circa altri trenta paesi (ma la pubblicazione è in
programma anche in altri 40). Il libro racconta un trentennio di storia
iraniana, dagli anni successivi alla Rivoluzione del 1979 fino ai
nostri, attraverso le vicende di varie famiglie separate dalla violenza e
dal dolore, ma accomunate dalla speranza, dall’amore e dalla lotta per
la libertà.
Sahar Delijani è nata 30 anni fa nel carcere di Evin a Teheran, dove i
suoi genitori erano reclusi a causa della loro opposizione al regime
islamico. E il suo romanzo comincia proprio in una cella di Evin, lo
stesso carcere dove, attualmente, sono detenuti decine di prigionieri di
coscienza.
La serata sarà quindi un’occasione per portare all’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica italiana le violazioni
ai diritti umani commesse dal regime iraniano ai danni di operatori
dell’informazione, dissidenti, sindacalisti indipendenti, esponenti di
minoranze etniche e religiose, attivisti del movimento studentesco,
avvocati. Violazioni che avvengono sin dalla nascita della
Repubblica Islamica e intensificatesi negli anni che sono seguiti alle
contestate elezioni presidenziali del giugno 2009. Alla vigilia delle
nuove elezioni, in un paese fiaccato da una gravissima crisi
economica causata soprattutto dalle sanzioni internazionali, il
regime continua ad imbavagliare la stampa, ad eseguire ogni mese decine
di sentenze capitali, a praticare in modo sistematico la tortura nelle
carceri, ad intimidire con arresti arbitrari quei settori della società
civile che chiedono un cambiamento. Tutto questo mentre, nel mondo, l’Iran fa notizia solo per quanto riguarda lo sviluppo del suo programma nucleare.
Far uscire dal cono d’ombra mediatico le vittime della
repressione del regime è il solo modo per stare vicini a quanti, in
Iran, continuano ogni giorno, pagando un prezzo altissimo, a lottare per
la libertà e la democrazia.
A poche settimane dalle elezioni presidenziali del prossimo
14 giugno, le autorità stanno richiamando in carcere molti prigionieri
politici che erano da tempo in congedo.
Sabato scorso, 18 maggio, hanno fatto ritorno nella prigione di Evin (Teheran) il giornalista Masoud Bastani
Masoud Bastani con la moglie Mahsa Amrabadi
e il blogger a attivista per i diritti umani Hossein Ronaghi Maleki. Quest’ultimo aveva usufruito di un permesso per
ragioni mediche a causa di seri problemi ai reni e alla vescica, dopo
avere scontato 32 mesi della sua condanna a 15 anni di detenzione.
Bastani, che deve scontare 6 anni di pena, aveva ottenuto un periodo di
congedo a marzo, in coincidenza con il capodanno persiano (il Nowruz),
dopo tre anni e mezzo trascorsi in cella.
Hossein Ronaghi Maleki
Stando a quanto riporta il sito web Mizan Khabar, sono stati richiamati a Evin anche Bahareh Hedayat, attivista del movimento studentesco (9 anni e mezzo di condanna), e i giornalisti Ahmad Zeidabadi (6 anni) e Bahman Ahmadi Amouee (5 anni).
Bahman Ahmadi Amouee
Lo stesso sito afferma che, dopo la candidatura di Hashemi Rafsanjani
alle elezioni presidenziali, le pressioni sugli attivisti politici
sarebbero aumentate.
Bahareh Hedayat
Tutti i prigionieri politici richiamati in carcere in questi giorni
vennero arrestati nei giorni o nei mesi immediatamente successivi alle
elezioni del 2009.
RICEVIAMO E DIFFONDIAMO: DALL’IRAN CI E’ GIUNTA LA DISPERATA RICHIESTA DI AIUTO DELLA COMUNITA’ CRISTIANO EVANGELICA, QUOTIDINAMENTE PERSEGUITATA DAGLI AYATOLLAH. QUESTA VOLTA, NELLE MANI DEGLI SGHERRI DEL REGIME E’ FINITO IL PASTORE ROBERT ASSERIYAN, MEMBRO DELLA CHIESA EVANGELICA DELLA CAPITALE TEHERAN.
GLI AGENTI SI SONO RECATI PRIMA A CASA DEL PASTORE ASSERIYAN PER
ARRESTARLO, MA NON LO HANNO TROVATO. OVVIAMENTE, PURTROPPO, NON SI SONO
FERMATI E SI SONO RECATI DIRETTAMENTE NELLA CHIESA EVANGELICA DOVE IL
PASTORE ASSERIYAN OFFRE I SUOI SERVIZI RELIGIOSI. SENZA PUDORE SONO ENTRATI NELLA CHIESA ENTRATI E HANNO IL PASTORE CRISTIANO PROPRIO MENTRE DICEVA LA MESSA.
IGNOTA LA LOCALITA’ DOVE E’ STATO TRASPORTATO.
ROBERT ASSERIYAN E’ DI UN GIOVANE PASTORE EVANGELICO DI ORIGINE
IRANO-ARMENA. DI PROFESSION E’ ANCHE PSICOLOGO , AUTORE DI TESTI E
TRADUTTORE. NELLA CHIESA EVANGELICA DI TEHERAN OPERA COME ANCHE
COME INSEGNATE.
VI CHIEDIAMO DI DIFFONDERE LA NOTIZIA, DI DENUNCIARE E DI PROTESTARE.
BASTA CON LA PERSECUZIONE DEI CRISTIANI IN IRAN E IN TUTTO IL MONDO
Habibollah Golparipour, un prigioniero politico curdo nel
braccio della morte, è stato convocato dagli ufficiali della prigione
centrale di Semnan lo scorso 9 maggio e informato del fatto che doveva
prepararsi al trasferimento in una località segreta. Lo ha riferito una
fonte locale a International Campaign for Human Rights in Iran. Golparipour
non è stato informato delle ragioni del trasferimento. Secondo la
fonte, considerato il fatto che la condanna a morte del prigioniero
politico è stata portata a termine dalla Corte Suprema, c’è la
preoccupazione che la sua condanna possa essere resa esecutiva
immediatamente.
In un’intervista rilasciata a Campaign for Human Rights in Iran, un membro della famiglia di Golparipour
ha confermato queste notizie e ha aggiunto che Habibollah ha chiamato
la sua famiglia lo scorso 9 maggio e, durante la breve telefonata dalla
prigione centrale di Semann, ha riferito che doveva fare le valigie e
prepararsi a essere trasferito il 10 maggio.
La famiglia del prigioniero politico ha detto che Golparipour
non conosceva le ragioni del trasferimento né il luogo e i loro
tentativi di avere maggiori informazioni sulle sue condizioni sono state
infruttuose. La sua famiglia non è in grado di affrontare lunghi viaggi
come quello dalla loro residenza di Sanandaj nella provincia del
Kurdistan a Semnan.
Le forze dell’Intelligence di Mahabad hanno arrestato Habibollah Golparipour il 27 settembre del 2007, appena fuori Mahabad e l’hanno portato nei centri di detenzione a Mahabad, Orumiyeh, and Sanandaj. Fonti vicine alla sua famiglia hanno riferito a Campaign for Human Rights in Iran
che durante la detenzione è stato “soggetto alle peggiori torture
fisiche e psicologiche, al punto che un braccio e una gamba sono stati
rotti durante le torture”. Il prigioniero è stato poi trasferito nella
prigione di Mahabad e condannato a morte dalla sezione 1 della Corte
Rivoluzionaria di Mahabad il 14 marzo del 2010, in un processo della
durata di un minuto, con le accuse di “appartenenza al PJAK” il Partito della vita libera del Kurdistan.
Golparipour ha iniziato il 12 maggio 2010 uno
sciopero della fame di 15 giorni per protestare contro la sua condanna a
morte. Tuttavia, la sezione 31 della Corte Suprema ha confermato la
sua condanna.
In una lettera aperta del marzo 2012, Habibollah Golparipour ha scritto delle torture fisiche e psicologiche che ha subito nei centri di detenzione dell’Intelligence di Orumiyeh e Mahabad.
“Nel corso della mia lunga detenzione e delle torture fisiche e
psicologiche, sono quasi morto. Ho accumulato rabbia nello spiegare i
dettagli e ho scritto a varie organizzazioni governative, ma in questo
paese le nostre voci non riescono nemmeno ad attraversare le celle della
prigione” ha scritto Golparipour.
Secondo le fonti vicine a Habibollah Golparipuor, il prigioniere è
stato trasferito alla prigione centrale di Orumiyeh il 3 dicembre del
2010 e il 15 marzo 2012 è stato brutalmente trasferito dalla prigione di
Orumiyeh alla prigione centrale di Semnan, dove è stato ospitato tra i
criminali comuni.
Massiccia
repressione e arresti di giovani e donne con l’approssimarsi delle
elezioni presidenziali-farsa. Il disumano regime dei mullah ha mandato
all’impiccagione pubblica tre detenuti a Kermanshah il 6 Maggio (agenzia
di stampa di Stato Fars). Anche il 7 Maggio altri tre detenuti della
prigione centrale di Isfahan sono stati impiccati (Unità Centrale per le
News del regime). Nello
stesso giorno, un giovane di 24 anni ha subito 110 frustate in
pubblico. Gli aguzzini dei mullah lo avevano fatto sfilare nelle strade
della città di Abyek in maniera umiliante prima di fustigarlo
pubblicamente. Il brigadiere Ahmad Reza Radan, vice-comandante delle
Forze di Sicurezza dello Stato (FSS) ha annunciato che i piani di
“pubblica sicurezza” verranno implementati da metà Maggio a Tehran e in
17 altre maggiori città come Isfahan, Shiraz, Kerman e Hamadan nonché
nelle provincie di Alborz, Khorassan, Mazandaran, Gilan e Golestan. Basandosi
su questo piano repressivo, un gran numero di giovani vengono arrestati
con il pretesto di combattere “la circolazione dei cani-i teppisti-i
piccoli spacciatori di droga-le prostitute”. Il brigadiere Hossein
Rahimi, Capo della Polizia Stradale nella Grande Tehran riguardo alla
“intensificazione della lotta contro la corruzione pubblica” ha detto
anche: “Secondo ordini recenti del Procuratore Generale di Tehran, in
base al piano di sicurezza morale, i veicoli dei trasgressori verranno
confiscati per tre settimane in aggiunta all’applicazione della legge. I
veicoli delle donne senza velo o mal-velate, di quelli che commettono
atti contro la pubblica decenza nei veicoli, di quelli che molestano le
donne e le ragazze e i veicoli che causano inquinamento acustico sono
passibili di questo provvedimento.” Lo scopo principale
dell’intensificare le misure repressive è creare un’atmosfera di
intimidazione tesa ad impedire lo scoppio del malcontento e della rabbia
popolare con l’approssimarsi delle elezioni-farsa Ristretti Orizzonti.
Dopo aver ammesso – senza remore – di aver inviato armamenti all’organizzazione terrorista Hamas, adesso l’Iran tenta di mettere tutte e due le mani nella questione palestinese, cercando di cooptare membri del partito Al Fatah, il movimento politico del Presidente Abu Mazen.
L’uomo di Teheran all’interno del Comitato Centrale di Fatah è Jibril Rajoub(60
anni), ex Capo delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale
Palestinese, considerato uno degli uomini più potenti all’interno di
Fatah e vice Segretario del Comitato Centrale del partito di Abu Mazen.
Secondo le informazioni diffuse da Press TV – canale televisivo in lingua inglese del regime iraniano – Jibril Rajoub avrebbe incontrato il primo maggio scorso l’Ambasciatore
iraniano in Libano Ghazanfar Roknabadi, auspicando l’approfondimento
delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica Islamica e Fatah.
Per parte loro, membri dell’establishment
iraniano – in seguito all’incontro con il rappresentante palestinese –
hanno dichiarato che “l’Iran vede come un’opportunità le divisioni
all’interno di Fatah e la completa assenza di una visione del futuro”.
Come evidenziato prima, durante il recente conflitto tra Israele e Hamas, il capo dei Pasdaran Ali
Jafari, ammise pubblicamente il ruolo del regime iraniano nell’invio di
armamenti ad Hamas, soprattutto dei missili Fajar-5. L’organizzazione
terrorista Hamas, dopo il conflitto, ringraziò pubblicamente gli
Ayatollah con enormi manifesti lungo le strade di Gaza
Siamak
Ghaderi non era un giornalista di opposizione. Al contrario, lavorava
per l’agenzia ufficiale di stato, l’IRNA (Islamic Republic News Agency).
Scriveva anche sul suo blog personale, IRNA-ye Maa. Dopo le
contestate elezioni presidenziali del 2009, cominciò a criticare, in
quel blog, la linea tenuta dalla dirigenza dell’IRNA. Dapprima fu il suo
blog ad essere oscurato in varie occasioni. Poi
fu la volta del posto di lavoro. Dopo 18 anni di onorato servizio
all’IRNA, Ghaderi venne licenziato. Infine, nel luglio 2010, gli agenti
andarono ad arrestarlo in casa sua. Fu processato e condannato a 4 anni
di detenzione e sessanta frustate per le accuse di “propaganda contro il
regime”, “aver creato ansietà nel pubblico” e “pubblicazione di
menzogne”.
Da quasi 3 anni Siamak Ghaderi è rinchiuso nel carcere di Evin, a
Teheran, senza avere mai beneficiato di neppure un giorno di permesso,
benché la legge preveda che i detenuti, dopo avere scontato almeno un
terzo della pena, possano usufruire di congedi temporanei. Ma per i
prigionieri politici la regola vale solo quando decidono le autorità,
sicché Ghaderi, benché abbia superato da tempo il termine previsto dalla
legge (e anzi ormai intraveda da lontano la fine della sua pena), non
ha mai trascorso neppure 24 ore fuori da Evin.
Siamak Ghaderi è uno dei 10 prigionieri della sezione 350 che
attualmente sono stati trasferiti in cella d’isolamento per punirli di
non avere sostituito il loro rappresentante presso le autorità
carcerarie – quello attuale, Saeed Madani, è considerato dalle stesse
autorità troppo “scomodo”.
“Ho cercato di spingere per un permesso in occasione dell’ultimo
Nowruz [il capodanno persiano, 21 marzo 2013] – ha detto recentemente la
moglie Farzaneh Mirzavand all’International Campaign for Human Rights in Iran-
ma è stato inutile. Il nostro ultimo incontro di persona risale al
2011. Nel corso di questi 3 anni sono riuscita ad incontrarlo faccia a
faccia solo due o tre volte. In ogni caso non voglio insistere ancora,
perché l’impressione è che queste insistenze non ottengano alcuno scopo.
Prendono le loro decisioni da soli e da soli le applicano. E Siamak
stesso mi dice di non darmi ulteriore pena in viaggi presso l’ufficio
del procuratore: ‘Vivi la tua vita – mi dice – la maggior parte della
mia pena è stata ormai scontata, mi rimane ancora poco, resisterò.”
A Siamak Ghaderi non sono vietati solo i congedi temporanei e
centellinate le visite faccia a faccia: gli viene anche negato l’uso del
telefono (tanto più adesso che è in isolamento).
“Non tornerò a chiedere perché mio marito sia stato illegalmente
arrestato, – aggiunge Farzaneh Mirzavand – perché i suoi diritti siano
stati calpestati durante il periodo degli interrogatori, e perché abbia
dovuto sopportare un così lungo periodo di isolamento. Non voglio
tornare al passato, ma in questi giorni la mia domanda è: perché i
prigionieri di coscienza non possono avere accesso al telefono? E,
considerato che ha scontato più della metà della sua pena, e che non ha
precedenti penali, perché mio marito non viene rilasciato rispettando le
leggi?”
“Le famiglie dei prigionieri – conclude la moglie di Ghaderi –
arrivano ogni lunedì a Evin piene di speranza di poter fare al loro caro
una visita di mezz’ora. Ma ogni volta si trovano di fronte nuove
regole, nuovi soprusi da parte delle autorità carcerarie. E’ così ogni
lunedì da tre anni. Conosco famiglie che hanno deciso di diradare le
loro visite perché è davvero faticoso e frustrante. I soprusi sono di
vario tipo. Per esempio durante le festività del Nowruz ho portato mio
figlio quindicenne con me in prigione, ma le guardie non gli hanno
permesso di vedere il padre, perché non c’era una sua foto nel
certificato di nascita. Ho pregato, ho scongiurato: ‘Solo trenta minuti,
il ragazzo vuole vedere il padre solo per mezz’ora… pensate che porti
con me in prigione il figlio del vicino?’”
Ma quell’incontro tra padre e figlio è stato negato, anche se era il Nowruz, il capodanno persiano.
Il giornalista e prigioniero politico curdo Khosro Kordpour è
in sciopero della fame da 11 giorni nel carcere di Orumyieh (dove è
rinchiuso da marzo scorso), per protesta contro la mancanza di chiarezza
sul suo stato di detenzione e sulle accuse mosse a suo carico.
Kordpour, direttore dell’agenzia Mukrian News nel Kurdistan
iraniano, si trova in prigione insieme al fratello Massoud, anche lui
giornalista e come lui arrestato a marzo. Il mandato di arresto contro
entrambi è stato già rinnovato per due volte, ma nessuna accusa
ufficiale è stata ancora formulata contro di loro. Al tempo stesso è
stato loro negato l’accesso a un avvocato, così come la possibilità di
richiedere il rilascio su cauzione.
Nei giorni scorsi, dopo 45 giorni di detenzione in incommunicado, ai due fratelli è stato permesso di ricevere una visita dei familiari.
Lo scorso 15 aprile, la polizia di Marivan ( Iran ) ha costretto un detenuto ad una punizione inedita. L’uomo,
in manette e su un mezzo della polizia, è stato fatto sfilare per le
strade della città vestito da donna, con gli abiti tradizionali
femminili del Kurdistan.
La punizione, invece che essere vissuta come svilente dell’uomo e
portare la popolazione al dileggio, ha scatenato una forma di resistenza
molto partecipata. Un’organizzazione femminista locale ( sì, le
femministe esistono anche in Iran ) chiamata “Marivan Women’s Community” ha organizzato una protesta
a cui hanno preso parte centinaiat di uomini e donne, per denunciare
questo tipo di punizione sancita da una corte locale, prima di tutto
come offensiva per le donne del Kurdistan, ma soprattutto per dire cheessere una donna non è una condizione umiliante e non dovrebbe essere considerata una punizione.
Anche in rete, la popolazione si è mobilitata e in un solo giorno, la
pagina del gruppo femminista che si oppone a questo tipo di punizioni
ha raggiunto quasi i 4000 likes.
Nel frattempo, 17 membri del parlamento iraniano hanno
firmato una lettera indirizzata al Ministro della Giustizia condannando
la sentenza come “umiliante per le donne musulmane”.
In molti hanno preso parola sull’accaduto. France 24 riporta ad esempio le parole di Hiwa, che ha preso parte alle mobilitazioni contro la sentenza e che racconta
” Tra quelli che hanno protestato c’erano
circa una dozzian di donne che indossavano vestiti rossi, simili a
quello che il detenuto è stato obbligato ad indossare. Erano donne della
“Marivan Women’s Community” che è molto attiva nella nostra regione. Combattono per i diritti delle donne, per esempio protestando contro il delitto d’onore.
[...] Noi protestiamo spesso per i nostri diritti. Credo che questo
avvenga grazie alla presenza della Marivan University, i cui studenti
sono abbastanza attivi. [...] Per quanto posso ricordare, questa è la
prima volta che un uomo iraniano è condannato a indossare abiti
femminili. Credo che il fatto che sia avvenuto a Marivan non sia una
coincidenza, ma più un tentativo di intimorire una popolazione che
lotta.”
La protesta è continuata anche su internet, dove è stata lanciata una campagna in solidarietà con la manifestazione femminista: sulla pagina facebook delle donne di “Marivan Women’s Community” e poi sul gruppo “Kurd Men for Equality” gli uomini sono stati invitati a scattarsi e inviare foto vestiti da donna.
Così uomini da tutto il mondo hanno inviato le loro foto “drag”
ribadendo che non c’è alcuna umiliazione nell’essere vestito da donna.
Una coppia iraniana si scatta una foto “queer” scambiandosi i vestiti
Un padre iraniano posa con la figlia
Alcuni di loro lasciano anche dei commenti sulla pagina facebook dell’iniziativa, ad esempio Ala M dice
“Per molti anni le donne nel mio Paese hanno combattutto fianco a
fianco agli uomini, indossando anche abiti “da uomo”, lottando. Questa
sera sono onorato di indossare abiti da donna e essere anche solo una
piccolissima parte in questa giusta lotta della popolazione che esprime
gratitudine alle donne del mio Paese“
Oggi la campagna continua, la pagina ha raggiunto i 9000 likes e sono ben accette foto da tutto il mondo. C’è qualche maschietto italiano che non si sente umiliato dal vestirsi da donna e vuole partecipare?
In caso, basta scattarsi una foto con il vostro abito femminile preferito e mandarla a questa pagina fb, dove trovate centinaia di foto che vi faranno da ispirazione
Dieci prigionieri di coscienza detenuti nella sezione 350 del
carcere di Evin sono stati trasferiti in cella d’isolamento il 28
aprile. Il motivo del provvedimento, stando a quanto riporta il sito Kalemeh
sarebbero le proteste nate quando le autorità
carcerarie hanno intimato ai prigionieri di togliere a Saeed Madani il
ruolo di rappresentante dei prigionieri politici della sezione 350.
I nomi dei 10 in questione: Saeed Madani, Abdollah Momeni, Khosro
Delirsani, Abolfazl Abedini, Siamak Ghaderi, Mohammad Hassan Yousefpour,
Saeed Abedini, Kamran Ayazi, Mohammad Ebrahimi e Pourya Ebrahimi.
Contro la richiesta delle autorità i prigionieri della sezione 350
sono insorti pacificamente cantando e urlando slogan nell’area comune
della prigione. Quando hanno cominciato a gridare “Margh bar diktator”
(“Morte al dittatore”) le guardie sono state inviate nella sezione. In
seguito al trasferimento in isolamento, ai 10 prigionieri politici è
stato anche vietato di ricevere visite. Altri 35 prigionieri di
coscienza della sezione 350, per solidarietà con loro, hanno annunciato
di rinunciare a loro volta al diritto alle visite. I 10 in isolamento
hanno fatto sapere che, se la misura restrittiva nei loro confronti
persisterà, lanceranno uno sciopero della fame.
Il motivo che ha spinto il vice-capo guardiano di Evin a chiedere ai
detenuti di rinunciare a essere rappresentati da Saeed Madani è da
ricercare nelle proteste che quest’ultimo ha presentato contro il
trattamento riservato ai detenuti politici nella sezione 350, contro le
condizioni dell’emporio del carcere e contro le irregolarità nella sua
gestione finanziaria, e nella sua richiesta di licenziamento di una
guardia che aveva ripetutamente insultato i familiari dei prigionieri
durante gli orari di visita.
Saeed Madani, 75 anni, attivista politico e membro del Fronte
Nazionalista-religioso (“Melli Mazhabi”), ricercatore e sociologo, è
stato arrestato il 2 gennaio 2012.