Siamak
Ghaderi non era un giornalista di opposizione. Al contrario, lavorava
per l’agenzia ufficiale di stato, l’IRNA (Islamic Republic News Agency).
Scriveva anche sul suo blog personale, IRNA-ye Maa. Dopo le
contestate elezioni presidenziali del 2009, cominciò a criticare, in
quel blog, la linea tenuta dalla dirigenza dell’IRNA. Dapprima fu il suo
blog ad essere oscurato in varie occasioni. Poi
fu la volta del posto di lavoro. Dopo 18 anni di onorato servizio
all’IRNA, Ghaderi venne licenziato. Infine, nel luglio 2010, gli agenti
andarono ad arrestarlo in casa sua. Fu processato e condannato a 4 anni
di detenzione e sessanta frustate per le accuse di “propaganda contro il
regime”, “aver creato ansietà nel pubblico” e “pubblicazione di
menzogne”.
Da quasi 3 anni Siamak Ghaderi è rinchiuso nel carcere di Evin, a
Teheran, senza avere mai beneficiato di neppure un giorno di permesso,
benché la legge preveda che i detenuti, dopo avere scontato almeno un
terzo della pena, possano usufruire di congedi temporanei. Ma per i
prigionieri politici la regola vale solo quando decidono le autorità,
sicché Ghaderi, benché abbia superato da tempo il termine previsto dalla
legge (e anzi ormai intraveda da lontano la fine della sua pena), non
ha mai trascorso neppure 24 ore fuori da Evin.
Siamak Ghaderi è uno dei 10 prigionieri della sezione 350 che
attualmente sono stati trasferiti in cella d’isolamento per punirli di
non avere sostituito il loro rappresentante presso le autorità
carcerarie – quello attuale, Saeed Madani, è considerato dalle stesse
autorità troppo “scomodo”.
“Ho cercato di spingere per un permesso in occasione dell’ultimo
Nowruz [il capodanno persiano, 21 marzo 2013] – ha detto recentemente la
moglie Farzaneh Mirzavand all’International Campaign for Human Rights in Iran -
ma è stato inutile. Il nostro ultimo incontro di persona risale al
2011. Nel corso di questi 3 anni sono riuscita ad incontrarlo faccia a
faccia solo due o tre volte. In ogni caso non voglio insistere ancora,
perché l’impressione è che queste insistenze non ottengano alcuno scopo.
Prendono le loro decisioni da soli e da soli le applicano. E Siamak
stesso mi dice di non darmi ulteriore pena in viaggi presso l’ufficio
del procuratore: ‘Vivi la tua vita – mi dice – la maggior parte della
mia pena è stata ormai scontata, mi rimane ancora poco, resisterò.”
A Siamak Ghaderi non sono vietati solo i congedi temporanei e
centellinate le visite faccia a faccia: gli viene anche negato l’uso del
telefono (tanto più adesso che è in isolamento).
“Non tornerò a chiedere perché mio marito sia stato illegalmente
arrestato, – aggiunge Farzaneh Mirzavand – perché i suoi diritti siano
stati calpestati durante il periodo degli interrogatori, e perché abbia
dovuto sopportare un così lungo periodo di isolamento. Non voglio
tornare al passato, ma in questi giorni la mia domanda è: perché i
prigionieri di coscienza non possono avere accesso al telefono? E,
considerato che ha scontato più della metà della sua pena, e che non ha
precedenti penali, perché mio marito non viene rilasciato rispettando le
leggi?”
“Le famiglie dei prigionieri – conclude la moglie di Ghaderi –
arrivano ogni lunedì a Evin piene di speranza di poter fare al loro caro
una visita di mezz’ora. Ma ogni volta si trovano di fronte nuove
regole, nuovi soprusi da parte delle autorità carcerarie. E’ così ogni
lunedì da tre anni. Conosco famiglie che hanno deciso di diradare le
loro visite perché è davvero faticoso e frustrante. I soprusi sono di
vario tipo. Per esempio durante le festività del Nowruz ho portato mio
figlio quindicenne con me in prigione, ma le guardie non gli hanno
permesso di vedere il padre, perché non c’era una sua foto nel
certificato di nascita. Ho pregato, ho scongiurato: ‘Solo trenta minuti,
il ragazzo vuole vedere il padre solo per mezz’ora… pensate che porti
con me in prigione il figlio del vicino?’”
Ma quell’incontro tra padre e figlio è stato negato, anche se era il Nowruz, il capodanno persiano.
* Presidente di Iran Human Rights Italia Onlus
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